venerdì 20 febbraio 2009

Voglio un leader che comandi


Via i vecchi capi. E disciplina di partito rispettata da tutti. Anche a costo di perdere pezzi. Parla il sindaco di Torino.
Colloquio con Sergio Chiamparino


Sergio chiamparino
Il telefono squilla nell'ufficio torinese di Sergio Chiamparino. "Buongiorno sindaco, vorremmo intervistarla sull'emergenza nel Pd dopo la sconfitta in Sardegna e le dimissioni di Veltroni. Ci sono due pagine a disposizione". "Due pagine intere? Ma è uno spazio terrificante...", risponde. Fosse per lui, si risparmierebbe di sviscerare le conseguenze che questa crisi avrà sul suo partito. "Sono troppo amareggiato. Rischia di spegnersi qualcosa in cui ho molto creduto. Se andiamo avanti così, a scontri frontali, a contrapposizioni autolesioniste, senza costruire niente, finiamo dritti nella palude...". Per giunta, gli scappa, da Roma nessuno del partito si è fatto vivo, il giorno della rinuncia ("intempestiva") di Veltroni: "Nemmeno un sms, mi hanno mandato". E questo, dice, "è sintomatico del rapporto che nel Pd c'è tra amministratori locali e governo centrale. Cosa vuole che pensi, la gente comune? Penserà che il mio partito si sta avvitando su se stesso".

Ed è vero?
"È indubbiamente vero che nel Pd c'è un problema di esercizio della leadership. Dalla sconfitta alle elezioni politiche fino a oggi, si è praticata una politica in punta di piedi, fatta di mezzi passi. Una linea che non ha pagato, e che non pagherà più".

Pagheranno il decisionismo, le prese di posizioni drastiche?
"Non dico di entrare come elefanti nella cristalleria, ma ci vuole determinazione e chiarezza. A questo punto non ha senso tenere assieme i nostri cristalli con il Bostik".

Sta parlando di una scissione?
"Beh, non so... Qualche rumor l'ho sentito... Diciamo che se devo scegliere tra la conquista di un profilo netto, per il Pd, e una costante ambiguità, punto sulla prima opzione. A costo di perdere qualche componente".

Sia più esplicito: si riferisce a Francesco Rutelli?
"Per esempio. Ma il discorso è più ampio, in prospettiva. Il Pd ha una ragione d'essere se svolge una doppia manovra: prima di inclusione di tutte le forze che ne condividono il percorso, e poi di selezione in base ai comportamenti effettivi".


Come vede, in questo quadro, il contributo futuro di Antonio Di Pietro e dell'Italia dei valori?
"Di Pietro ha una base populista, molto distante da quello che dev'essere il Pd. Ma ciò non esclude un'alleanza corretta e leale. Ribadisco: corretta e leale. L'opposto di com'è stata finora".


E l'Udc di Pier Ferdinando Casini? Uno spicchio del suo partito lo guarda con simpatia.
"L'esperienza mi dice che non va escluso niente, in materia di alleanze. Ma devono essere circoscritte: sia sul fronte dei tempi che dei contenuti".

Intanto, tra pochi mesi, c'è il doppio appuntamento delle europee e delle amministrative. Come deve reagire il Partito democratico?
"Cercando di ricucire al suo interno, di ritrovare un profilo competitivo. Il tempo a disposizione è poco, miracoli non se ne possono fare. E allora si torni, ventiquattr'ore al giorno, con la testa dentro la società. Dobbiamo prendere atto, finalmente, che non si vive solo di caminetti e di discorsi dei leader".

È fiducioso, sotto questo profilo?
"Mah. Le dico come stanno preparando le amministrative dalle mie parti. La preoccupazione principale, nella creazione delle liste, è che ogni gruppo, ogni piccolo capo, e persino ogni vice abbia il suo angolo di potere. Vede, una volta c'era il correntismo nobile, quello stile vecchia Dc o Psi. Oggi, invece, c'è il correntismo straccione".

Dunque come ne uscirete?
"Una strada c'è: buttare le etichette e puntare sui contenuti. Penso, per esempio, alla valorizzazione dell'unità sociale, cara alla sinistra radicale; ma anche all'attenzione verso l'individuo e la famiglia, come chiedono i cattolici".

Sta proponendo di tornare al recente passato? Tutti insieme, dai nostalgici comunisti a Paola Binetti, condannati alla lite continua?
"Non intendo questo. Non può esserci, nel nostro futuro, una struttura che vada ancora da Rifondazione alla Margherita. Però le porte del Pd devono essere aperte: anche a chi, fino a ieri, ha militato nella sinistra radicale. Basta che s'impegni a lavorare in una prospettiva di governo. Per essere più esplicito: tutti possono parlare e contribuire, ma alla fine dev'esserci una linea unica. Sennò faremo ancora figuracce, com'è accaduto sulle coppie di fatto...".

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