lunedì 9 febbraio 2009

Quanto è viva Eluana?


In questi giorni si è detto di tutto. Anche sciocchezze scientifiche. Il coordinatore delle attività di ricerca dell'Istituto Mario Negri scrive a Napolitano per spiegare quali sono le sue reali condizioni.

Caro Presidente Napolitano

Quali sono davvero le condizioni di salute della signora Eluana Englaro ed è giusto o no sospendere alimentazione ed idratazione?

Per poter rispondere penso sia necessario riferirsi alle conoscenze della letteratura medica sugli stati vegetativi. Provo a riassumerle.

Chi vive in stato vegetativo è sveglio, apre e chiude gli occhi ma non ha nessuna coscienza di sé e dell?ambiente. Questo stato può durare giorni, settimane o anche qualche mese. Si chiama "stato vegetativo persistente". Non è irreversibile, anzi, dopo un po? qualcuno si riprende. Apre gli occhi non più a caso, in risposta a degli stimoli. Comincia ad esserci qualche forma di coscienza, magari minima, ma c?è. Questi ammalati possono essere confusi, non ricordare il proprio nome, non sapere dove si trovano, ma la percezione di sé e dell?ambiente almeno un pochino ce l?hanno. E se si proseguono le cure i giovani possono perfino raggiungere un certo grado di indipendenza.

Se però dopo un trauma una persona resta in stato vegetativo per dodici mesi allora lo stato vegetativo si chiama permanente. Questa condizione è senza ritorno. La definizione di "Lancet Neurology" - che deriva dalla analisi di tutta la letteratura medica disponibile - non lascia dubbi: ?stato vegetativo persistente? è quando si rimane in stato vegetativo per almeno un mese e non è irreversibile. ?Stato vegetativo permanente? è quando lo stato vegetativo permane per dodici mesi. Lo ?stato vegetativo permamente ? è irreversibile, sempre.

Terri Schiavo è rimasta così per 15 anni, poi s?è sospeso tutto, è morta e le hanno fatto l?autopsia. Il suo cervello pesava 615 grammi, circa la metà del peso di un cervello normale. Non avrebbe mai potuto bere, né alimentarsi da sola perché i centri nervosi che governano la deglutizione erano danneggiati in modo irreversibile. Apriva e chiudeva gli occhi ma non vedeva perché di centri nervosi della visione nel suo cervello non ce n?erano più. «Non ci poteva essere nessuna forma di coscienza in quel cervello, né ci sarebbe mai potuta essere per quanto chiunque si fosse prodigato in tutti i modi possibili», ha dichiarato ai giornalisti del "New York Times2 Martin Samuels, grande neurologo di uno degli Ospedali di Harvard, alla fine del suo lavoro: «Semplicemente non c?erano neuroni».


C?è chi pensa che anche in queste condizioni non si dovrebbe mai sospendere nutrizione e idratazione, fino alla fine naturale della vita, perché interrompere la vita non è mai nel potere dell?uomo.

Ma la fine "naturale" della vita di Eluana Englaro sarebbe stata il 18 gennaio 1992.

Allora è stato sbagliato rianimarla? Assolutamente no. Dopo un trauma della strada se c?è anche solo una possibilità su centomila di farcela, si rianima (?resuscitation? dicono gli inglesi). Per Eluana Englaro è stato così.

A decidere di rianimare Eluana tanti anni fa sono stati i medici. Ed è stato giusto al momento dell'incidente stradale rianimare Eluana con l'idea di poter recuperare almeno qualcosa della funzione del suo cervello. E' per questo che prima di sospendere le cure è prudente aspettare un anno, proprio per offrire a questi ammalati tutte le possibilità, anche se estremamente remote, di recupero. Dopo, è tutto inutile. Ogni giorno nelle rianimazioni dei nostri ospedali i medici prendono decisioni di fine vita. Ne parlano con i parenti e tengono conto - quando c'è - della volontà dell'ammalato. Ma i familiari il più delle volte preferiscono non decidere: non se la sentono, troppa responsabilità. Si affidano alle conoscenze dei medici e al loro buon senso.

Fare il medico è rianimare, certo ma anche saper sospendere le cure quando sono inutili. Fa parte delle nostre responsabilità. E' a tutela di chi non ha più speranza perché non debba subire trattamenti inutili. E di tanti che di cure intensive invece hanno bisogno per vivere. Sono quasi sempre giovani o giovanissimi; per loro, vittime di incidenti stradali o della meningite qualche volta nelle rianimazioni dei nostri ospedali non c'è posto. Questo sì che è un delitto. E lo sarà di più se si imporrà ai medici di impegnare risorse e posti, che nelle rianimazioni non bastano mai, per trattamenti futili.

Ma di chi muore perché non c'è posto in rianimazione non si parla: non ne parlano i giornali e nemmeno gli uomini di Chiesa. Per quelli che muoiono perché "non c'è posto", di decreti-lampo non se ne fanno.

La ringrazio, Signor Presidente dell'attenzione e mi auguro che queste note possano essere utili per orientare i provvedimenti che il Governo sta per assumere e che Lei sarà chiamato a ratificare.

Giuseppe Remuzzi Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri Bergamo

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