mercoledì 4 novembre 2009

La Crisi è finita?


Lo scenario del CSC sconta modesti incrementi del PIL italiano nel secondo semestre del 2009 (+0,4% sul primo). L’anno si chiude con una perdita del 4,8%, ormai acquisita con le dinamiche già osservate. Nel 2010 è atteso un aumento dello 0,8%. L’export trainerà l'economia italiana fuori dalla recessione (+4,1%, -17,3% quest'anno), grazie al parziale rimbalzo del commercio mondiale (+9,1% in volume, dopo il crollo del 14,4% quest’anno); il dinamismo dei paesi emergenti sarà affiancato dalla ripresa di quelli avanzati. Il recupero degli investimenti sarà modesto: 1,5%, ottenuto in parte con gli incentivi
governativi, da confrontare con la contrazione cumulata pari al 15,7% nel biennio precedente. I consumi aumenteranno dello 0,7% (-1,7% quest’anno), sostenuti dalla maggior fiducia, mentre l’ulteriore progresso delle retribuzioni reali per addetto (+0,4%) sarà più che compensato nei redditi delle famiglie da una nuova contrazione dell’occupazione (-1,4% calcolata sulle unità di lavoro, che segue il -2,8% del 2009).
La disoccupazione lieviterà dall’8,3% al 9,5%, massimo dal 2000. La dinamica dei prezzi al consumo resterà molto bassa: 1,3% (0,7% nell’anno in corso). Il deficit pubblico rimarrà al 5% del PIL e il debito salirà al 117,8%, dal 114,8% raggiunto nel 2009.
La strada del recupero dei livelli di attività passati rimane, soprattutto per l’eurozona, fitta di ostacoli che ne freneranno lo slancio. Il principale resta la difficoltà di ottenere credito, evidenziata anche dalle ultime indagini presso le imprese. Diventa ancora più urgente riuscire a riattivare la domanda interna attraverso riforme strutturali che innalzino produttività e dinamismo.
Questa appare come l’unica strada per molte nazioni dell’area euro, ma soprattutto per l’Italia.
In Italia l’elenco delle riforme è noto da tempo e contempla ai primi posti l'efficienza della pubblica amministrazione, infrastrutture, capitale umano, liberalizzazioni, con un potenziale incremento del PIL stimato al 30%, ma di queste riforme a oggi nemmeno l’ombra.
Una delle riforme più urgenti sarebbe la riduzione dell’IRAP (imposta regionale sulle attività produttive), è un'imposta di competenza Statale, nella sua applicazione più comune, colpisce il valore della produzione netto delle imprese ossia in termini generali il reddito prodotto al lordo dei costi per il personale e degli oneri e dei proventi di natura finanziaria. Irap quindi và colpire il reddito al lordo del costo del personale, grava in particolar modo su imprese ad alta intensità di manodopera riducendone la redditività.
Inoltre l'Irap spesso viene pagata dalle imprese anche in presenza di una perdita di esercizio andando ulteriormente ad aggravarla.
E poi per combattere la crisi ci vorrebbe una cedolare secca del 20 % sugli affitti e sconti Irpef per i familiari a carico. In più una sospensione di almeno 12 mesi sui criteri Basilea 2, in questo momento no si può valutare solo come rating, asettico e freddo un’impresa, ma anche in base anche alla sua storia.
Importante anche l’apertura dei mercati alla concorrenza è un appuntamento da cogliere l’attuazione della direttiva europea per realizzare il mercato unico dei servizi. Ulteriori vantaggi per la produttività, le retribuzioni dei lavoratori e la domanda interna discenderebbero dal compimento delle riforme previdenziali e del welfare, l’allungamento dell’età pensionabile ( tranne per lavori usuranti) consentirebbe migliori ammortizzatori sociali e un reddito dignitoso nella vecchiaia, oltre al controllo della spesa pubblica, dal sostegno all’innovazione e dalla piena applicazione della riforma contrattuale.

martedì 3 novembre 2009

Da Mills alla mafia ora rischia


La dissoluzione dello scudo legale rischia di trascinare il premier in una serie di nuovi procedimenti dagli esiti imprevedibili. A partire dalle inchieste fiorentine sulle trattative politiche di Cosa nostra nella stagione delle stragi e della nascita di Forza Italia. E poi c'è Milano, con un'indagine sul riciclaggio di quattrini provenienti dal traffico di droga. Insomma, uno scenario che potrebbe moltiplicare i guai giudiziari per il Cavaliere rimasto allo scoperto.

La questione più pesante è il caso Mills: nella sentenza c'è il corrotto, mancava il corruttore. Pesante sia per la rilevanza del reato, corruzione in atti giudiziari; sia per l'eco internazionale, l'avvocato inglese è marito di un ministro del governo Brown, ma soprattutto perché le motivazioni della condanna a David Mills lasciano pochi margini di dubbio: "Ha agito certamente da falso testimone. Da un lato per consentire a Silvio Berlusconi e al gruppo Fininvest l'impunità dalle accuse o almeno il mantenimento degli ingenti profitti realizzati attraverso operazioni societarie e finanziarie illecite. Dall'altro per perseguire il proprio vantaggio economico". Le altre grane spaziano dalla politica all'azienda. C'è un procedimento "congelato" davanti al gip di Roma, Orlando Villoni, che vede indagato Berlusconi per istigazione alla corruzione di alcuni senatori eletti all'estero durante la scorsa legislatura.

A Milano poi dovrà tornare alla sbarra nel processo sui presunti fondi neri per la compravendita di diritti televisivi su pacchetti di film dagli Usa a Mediaset: riserve estere create facendo transitare le cessioni da società sponda con il solo scopo di aumentare fittiziamente gli esborsi. Il colpo di teatro potrebbe però arrivare dalle procure di Palermo e Firenze, che hanno raccolto le nuove deposizioni del pentito Gaspare Spatuzza sugli attentati di Cosa nostra del 1992-3. I pm fiorentini alla fine del 1996 avevano iscritto Berlusconi nel registro degli indagati per concorso in strage. Procedimento poi archiviato 5 anni dopo. Ma che adesso potrebbe ripartire proprio dalla ricerca dei referenti politici dei boss.

lunedì 2 novembre 2009

Green economy


I cambiamenti climatici e la nostra dipendenza dal petrolio d’importazione sono due problemi che, se lasciati ancora senza risposta, continueranno a indebolire la nostra economia.
Mentre in America si investe nella Green Economy, in Italia il governo Berlusconi parla della costruzione di centrali nucleari.
Vorrei ricordare che l’ultimo reattore nucleare costruito in America risale al 1729, trenta anni fà.
In Francia il nucleare conta il 20 per cento, con costi altissimi dei loro 59 reattori.
Ricordo infine che per costruire una centrale nucleare occorrono dagli 8 – 10 anni di lavoro e che la
Tecnologia proposta si basa su un combustibile, l’uranio appunto, di durata limitata.
Tutti non sanno forse che in Italia nella Bolletta Enel si paga ancora lo smaltimento delle centrali nucleari costruite prima del referendum con un ulteriore aumento negli ultimi anni dei costi, dovuto al prolungamento dei tempi di smaltimento.
L’Italia, tra i grandi Paesi industrializzati, ha scelto di uscire dal nucleare con il referendum del 1987 ma evidentemente, ed i molti incidenti nucleari che si sono succeduti negli ultimi tempi (anche in paesi avanzati come gli Stati Uniti o il Giappone) purtroppo dimostrano che è necessaria oggi più che mai una politica internazionale per l’uscita definitiva dal nucleare, sia civile che militare. L’Italia ha pronunciato un “no” storico al nucleare ma a distanza di quasi 14 anni dal referendum sul nucleare (8 novembre 1987) siamo ancora ben lontani dalla chiusura di quella coda “velenosa” costituita dalla sistemazione delle prodotte nel corso del tempo e dallo smantellamento delle centrali nucleari.
Il nostro territorio è, infatti, cosparso di siti di raccolta e di stoccaggio di scorie e veleni pericolosi, che costituiscono un potenziale di inquinamento che non è più possibile sottovalutare. Basti pensare che nel febbraio del 1998 è iniziata la scarica del “nocciolo” del reattore di Caorso che aveva ancora – dopo più di dieci anni – la sua carica di combustibile: un esperimento unico al mondo, un reattore carico di uranio e posto per così tanto tempo in “sicurezza attiva”, dimenticato un po’ da tutti. Bisogna stabilire delle responsabilità amministrative ed operative per questa situazione, e chiedere con forza che la decisione dei cittadini italiani di vivere lontani da fonti di potenziale inquinamento radioattivo venga rispettata sino in fondo.
C’è da investire pesantemente sulle rinnovabili sole, vento, mare, calore della terra, ben sapendo che, con il progresso tecnologico sarà sempre più efficiente e meno costose (ricordiamo che questo tipo di energie non ha scorie da smaltire).
Bisogna anche investire nell’infrastrutture verdi. Nuove soluzioni di massa, nuovi edifici sostenibili. E soprattutto una nuova rete, elettrica, capace di gestire la distribuzione della corrente in modo da compensare le oscillazioni delle rinnovabili (di notte non c’è sole e anche il vento cala).
L’ingente investimento di aziende e istituzioni nella lotta al global warming fa della green economy uno dei pochi comparti immuni dalla crisi economica degli ultimi anni. I profitti registrati superano addirittura le più rosee aspettative del rapporto Stern che prevedeva un giro d’affari di 530 miliardi entro il 2050. L’economia in verde starebbe galoppando quindi più veloce di quanto faccia il riscaldamento globale.
La buona salute del comparto si può misurare anche grazie alle cifre legate all’occupazione. Gli occupati del settore dal 2004 ad oggi sono più che raddoppiati, passando da 1 milione circa a 2,4.
I dati si riferiscono esclusivamente alle 368 società con capitale superiore ai 350 milioni di dollari seguite dall’indice di HSBC.