
Un'analisi dell'antico ghiaccio groenlandese mostra un picco nell'emissione di gas metano circa 11.000 anni fa, originatosi dalle zone umide invece che dal fondo oceanico o dal permafrost: la scoperta dei ricercatori dell'Università del Colorado a Boulder permette di guardare con meno pessimismo alle previsioni dell'aumento dell'effetto serra e del riscaldamento globale.
"Il metano legato ai sedimenti oceanici e al permafrost, chiamato clarato idrato, una sostanza simile al ghiaccio composta da metano e acqua, viene rilasciato in atmosfera durante i periodi di riscaldamento globale: la preoccupazione è legata al suo enorme volume e del suo altrettanto enorme potenziale come gas serra”, ha spiegato Vasilii Petrenko, ricercatore del Institute of Arctic and Alpine Research della CU-Boulder e primo autore dello studio.
Si temeva, infatti, che il riscaldamento attuale potesse scatenare un'enorme “ebollizione” dell'oceano determinata a sua volta dalla dissociazione dei clatrati nel fondo marino. Il fenomeno rappresenterebbe un meccanismo di feedback positivo in grado di aggravare ulteriormente l'effetto serra e il riscaldamento globale. Se solo il 10 per cento del metano proveniente dai clatrati fosse improvvisamente rilasciato in atmosfera, il risultante incremento nell'effetto serra sarebbe equivalente a un aumento di 10 volte del biossido di carbonio in atmosfera.
Per poter prevedere l'eventualità di un simile processo si è cercato di studiare le modalità con cui questo processo è avvenuto in passato. Quando la Terra uscì dall'ultima era glaciale, infatti, la temperatura in alcune regioni dell'emisfero settentrionale è aumentata di circa 10 gradi Celsius in soli 20 anni.
Nel corso della ricerca di Petrenko e colleghi, riportata sull'ultimo numero della rivista “Science”, sono state estratte diverse tonnellate di ghiaccio antico dall'estremo margine occidentale della Groenlandia nei pressi di Pakitsoq. Ridotti in cubi di dimensioni maneggiabili, i campioni di ghiaccio sono poi stati fusi in condizioni controllate in modo da recuperare i gas liberati e da poterne misurare la composizione.
Utilizzando il carbonio 14 come "tracciante" per datare e distinguere il metano delle zone umide dal metano clatrato, il gruppo internazionale di ricercatori è riuscito a fotografare un evento vecchio di 11.600 anni, stabilendo che il contributo più importante fu dovuto in effetti alle zone umide.
"Il rilascio di metano da parte dei clatrati nei periodi di brusco riscaldamento è comunque un processo che deve destare preoccupazione”, ha concluso il ricercatore. “Certo, è importante sapere che non si tratta del contributo più rilevante.” (fc)
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